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Pagine: 1, 2
tide
QUOTE(twinsouls @ Nov 1 2008, 06:14 PM) *
Ma non entriamo nella diatriba secolare di "cosa sia arte e cosa no"...

Ma come no?!
Proprio ora che cominciavo a divertirmi... tongue.gif
Vabbé, mi adeguerò e cercherò di non pronunziare l'infausta parola. wink.gif

Dietro alla scelta del "come" e del "cosa" c'è sempre un "perché"

Decoro o illustro?

Se decoro non c'è regola che tenga, non c'è comunicazione che tenga, non ci sono "cosa" e "come" che tengano, l'unico obiettivo e la soddisfazione del mio unico, inimitabile, imperscrutabile gusto personale, indipendentemente da come esso si sia formato, parallelamente alla mia personalità.
Ho le pareti della sala da pranzo dipinte di un giallo che ai più farebbe venire i vermi, ma ci mangio io, deve piacere a me. Se un invitato si azzarda a criticarlo può andare a pranzare altrove.

Se invece illustro, ovvero racconto, ovvero produco mmmphhhfff, ovvero comunico, il discorso cambia.
Mi relaziono con uno o più soggetti esterni da me e le regole, o meglio le convenzioni, sono quelle che mi permettono di adeguarmi a un codice condiviso, di essere compreso, quindi le devo rispettare a discapito del mio ininfluente (in questo caso) gusto personale.
Non dipingerei mai le pareti di un ristorante con lo stesso giallo della mia sala da pranzo, farei scappare i clienti; sono LORO che devono trovarsi a proprio agio.
Disquisire poi su come si vengano a formare queste convenzioni (che riguardano svariati aspetti del "cosa" e ancor più svariati aspetti del "come") è problema ancora più spinoso che non disquisire su come si formi un gusto personale o disquisire su cosa sia l'mmmphhhfff.

Una cosa però la si può dire: non si può ridurre tutto alla regola dei terzi e alla prospettiva.
La foto che cita Ludo non è "assolutamente ben fatta" ma "inequivocabilmente leggibile" da chi condivide un certo sistema di convenzioni; c'è differenza.
Se metti una usa e getta in mano a una bambina inquadra esattamente così, per emulazione, per il solo fatto di essere abituata a guardare così, perché è perfettamente inserita nel proprio sistema di valori, credenze, simboli e convenzioni.
Appena è un po' più grande, papà le regala la prima compatta e lei (nel tentativo di soddisfare le sempre più pressanti richieste del proprio ego) comincia a fare foto di m.... giustificandole con noiosi sblateri sulla propria creatività, sulla propria libertà e sul proprio gusto personale.
Infine quando cresce, se cresce, si compra la prima reflex, si iscrive a un fotoclub e passa ogni venerdì sera ad ascoltare i pipponi di qualcuno che le insegna il perché e il percome deve fare le fotografie uguali a quelle che faceva da piccola. laugh.gif
Teatralizzo ovviamente, non riesco a farne a meno, ma mettendo da parte gli scherzi queste sono esattamente le tre fasi che attraversa un bambino nell'apprendimento del linguaggio: impara le prime cose per inconscio istinto di emulazione, poi comincia a inventarsi le parole e a commettere dei terribili strafalcioni perché è convinto che il linguaggio nasca da "dentro di se", e infine studiando e crescendo impara a padroneggiarlo.
Cosa c'entra il linguaggio?
Ovvio.
SE E QUANDO la uso per COMUNICARE, anche la fotografia è un linguaggio.

bastano two cents? è aumentato tutto...
robi
davidebaroni
QUOTE(PAS @ Nov 3 2008, 10:46 PM) *
Infatti:

Mosso, sfocato e composizione sono parametri del "come"

Ma mentre mosso e sfocato risentono probabilmente dei limiti tecnologici oggettivi degli anni sessanta nel riprendere con rapidità un attimo estremamente fuggevole, la composizione è la parte sintattica. La consuetudine, l'esercizio e la consapevolezza ne rendono istintivo l'uso corretto.

Analogamente a chi è avvezzo a scrivere e parlare correttamente (da qui il mio parallelo con la narrativa) diventa istintivo utilizzare i vocaboli e le locuzioni più appropriate ed efficaci per rendere al meglio un pensiero.

Molto probabilmente Huynh Cong Ut non pensava al "come", ovvero alla regola dei terzi, mentre inquadrava e scattava, semplicemente gli è venuto istintivo, perché era IL MODO per esprimere la realtà percepita in quel momento.


Esatto, Valerio... E questo è uno dei motivi per cui sono dell'idea che le "regole di composizione", o meglio le regole sintattiche (di cui ANCHE mosso e sfuocato fanno parte... come b/n o colore, HK o LK, e tutte le altre caratteristiche "analogiche" dell'immagine), andrebbero studiate "esperienzialmente", sperimentando l'effetto che producono, che per me è il modo migliore di imparare ad usarle. smile.gif

Ciao,
Davide
Gennaro Ciavarella
insomma foto (ma potrebbe scriversi qualsiasi altra cosa che riguardi il comunicare) ben fatta ? rispetto a che?

spesso le spiegazioni le attacchiamo a posteriori, è così anche quando facciamo le foto?

io ne sono certo, perchè non si può dimenticare il se, quello che si è insomma

poi c'è sempre un dopo, forse è più significativo per chi lavora e vende la sua produzione, ma questo è significativo per tutti?

faccio un esempio, io non sopporto più le foto con il cielo terso ed i colori nitidi, certe foto di paesaggio sono stereotipate ed allora le preferisco diverse, quasi delle street, documenti del momento, ma queste foto non piacciono a tutti (anzi sono quasi nulli) e allora? a me non interessa, le foto le faccio per me
sono out? certamente ma non da me rolleyes.gif
PAS
QUOTE(tide @ Nov 3 2008, 10:54 PM) *
Ma come no?!
Proprio ora che cominciavo a divertirmi...
Vabbé, mi adeguerò e cercherò di non pronunziare l'infausta parola.

Dietro alla scelta del "come" e del "cosa" c'è sempre un "perché"

Decoro o illustro?

Se decoro non c'è regola che tenga, non c'è comunicazione che tenga, non ci sono "cosa" e "come" che tengano, l'unico obiettivo e la soddisfazione del mio unico, inimitabile, imperscrutabile gusto personale, indipendentemente da come esso si sia formato, parallelamente alla mia personalità.
Ho le pareti della sala da pranzo dipinte di un giallo che ai più farebbe venire i vermi, ma ci mangio io, deve piacere a me. Se un invitato si azzarda a criticarlo può andare a pranzare altrove.

Se invece illustro, ovvero racconto, ovvero produco mmmphhhfff, ovvero comunico, il discorso cambia.
Mi relaziono con uno o più soggetti esterni da me e le regole, o meglio le convenzioni, sono quelle che mi permettono di adeguarmi a un codice condiviso, di essere compreso, quindi le devo rispettare a discapito del mio ininfluente (in questo caso) gusto personale.
Non dipingerei mai le pareti di un ristorante con lo stesso giallo della mia sala da pranzo, farei scappare i clienti; sono LORO che devono trovarsi a proprio agio.
Disquisire poi su come si vengano a formare queste convenzioni (che riguardano svariati aspetti del "cosa" e ancor più svariati aspetti del "come") è problema ancora più spinoso che non disquisire su come si formi un gusto personale o disquisire su cosa sia l'mmmphhhfff.


Come spesso ripete Davide, il primo assioma della comunicazione è che “non si può non comunicare”.
E’ stata dura, ma alla fine Watzlawick ha convinto perfino il sottoscritto. E ti assicuro che non è roba facile! cerotto.gif

Quindi penso che anche il giallo tipo “fustino di detersivo smile.gif ” della tua sala da pranzo sia un “come” comunicare qualcosa di te.

Il Tide ristoratore che dipinge in modo leggermente più discreto le pareti del suo ristorante sceglie anch’esso un “come” comunicare qualcosa ai potenziali clienti (a proposito mi mandi il menù? tongue.gif ) magari con più consapevolezza.

Ed ora, ti prego, non mandarmi a cag…
biggrin.gif

Ciao
V.
davidebaroni
Ciao Gennaro!

QUOTE(Gennaro Ciavarella @ Nov 4 2008, 08:47 AM) *
insomma foto (ma potrebbe scriversi qualsiasi altra cosa che riguardi il comunicare) ben fatta ? rispetto a che?


Possibilmente, rispetto ad una "intenzione" di comunicazione. E qui non sto certo parlando solo (e banalmente) dell'intenzione di "emozionare", che, con tutto il rispetto, mi sembra una cavolata, a meno che non si specifichi esattamente cosa significa "emozionare" e di che emozione specifica siamo parlando. E anche così... ci sarebbe da discutere, visto che l'emozione, come mi pare di aver detto, è la risposta alla comunicazione che recepiamo attraverso la fotografia (libro, quadro, brano musicale...), ed è quindi idiosincratica, personale. L'intenzione di cui parlo è complessa, spesso pressoché inconsapevole, e ha poco a che vedere con il "piacere a...", sia agli altri che a se stesso, in un certo senso. E dipende dallo scopo per cui la foto viene scattata, dal target che ha, e tutte queste cose dovrebbero essere stabilite a priori... Uno degli assiomi della comunicazione (cfr. Watzlawick, Pragmatica della Comunicazione Umana, Astrolabio) è che la comunicazione è un processo circolare, fatto di azione e retroazione. La retroazione ci dà informazione sull'effetto prodotto dalla nostra comunicazione, permettendoci di verificare se la nostra comunicazione è arrivata a bersaglio... ma questo implica che sapevamo già da prima qual era il "messaggio" che volevamo che arrivasse.
Certo, se tutta la nostra "intenzione" é che la foto "piaccia", e magari senza nemmeno specificare "a chi, specificamente"... rolleyes.gif

QUOTE(Gennaro Ciavarella @ Nov 4 2008, 08:47 AM) *
spesso le spiegazioni le attacchiamo a posteriori, è così anche quando facciamo le foto?


Sospetto fortemente di sì, ma, come detto, non necessariamente dovrebbe esserlo, anzi... almeno nel contesto della fotografia (letteratura, musica, pittura...) come comunicazione.

QUOTE(Gennaro Ciavarella @ Nov 4 2008, 08:47 AM) *
io ne sono certo, perchè non si può dimenticare il se, quello che si è insomma

Ecco, questo non l'ho mica capito tanto bene.
Cosa c'entra "quello che si é" con "attaccare le spiegazioni a posteriori"?
Fra l'altro, se capisco bene il senso di "attaccare le spiegazioni a posteriori"... Chi scatta la foto dovrebbe avere ben presente "cosa c'é dentro", e "come" lo ha ripreso, in funzione di "cosa voleva trasmettere". Ma poiché questo accade, spesso, in una frazione di secondo, molte volte si tratta di una "consapevolezza inconscia", di un automatismo all'opera, come quando si cammina, o si va in bicicletta, o si guida l'automobile... o si parla. Le scelte "operative" vengono compiute in modo automatico, sulla base dell'esperienza, e la differenza la fa il fatto che chi aveva già "chiaro" ciò che voleva è in grado di sapere immediatamente se la sua intenzione è stata o meno realizzata e perché. Anche a me non piacciono le fotografie scattate a c.... a cui, POI, viene attribuito un significato, ma sospetto che siano una percentuale molto grande. Soprattutto adesso, quando scattare a raffica non costa nulla... rolleyes.gif
Ma continuo a non cogliere il nesso tra "ciò che si é" e "attaccare le spiegazioni a posteriori".

QUOTE(Gennaro Ciavarella @ Nov 4 2008, 08:47 AM) *
poi c'è sempre un dopo, forse è più significativo per chi lavora e vende la sua produzione, ma questo è significativo per tutti?

Gennaro, perché stamattina non ti capisco? Sarà che non ho bevuto ancora il caffé?
SE, e sottolineo se, capisco ciò che intendi, beh, penso (mia personalissima opinione, che vale due centesimi come qualsiasi altra) che il dopo di cui parli sia, sì, significativo per molti, se non per tutti... anche se per motivi diversi.
Chi lavora e vende la sua produzione trae il suo sostentamento da questo "dopo".
Gli altri ne traggono le proprie gratificazioni egoiche. Tutti, chi più chi meno.
Chi voleva/doveva realizzare un lavoro di comunicazione deve riscuotere l'approvazione del cliente/committente.
Chi voleva farsi dire che la sua foto è bella, che lui è bravo, deve trovare il riscontro che cercava... l'approvazione dei fruitori: amici, parenti, compagni di forum...
La differenza è economica, sì. Ma non solo. smile.gif

QUOTE(Gennaro Ciavarella @ Nov 4 2008, 08:47 AM) *
faccio un esempio, io non sopporto più le foto con il cielo terso ed i colori nitidi, certe foto di paesaggio sono stereotipate ed allora le preferisco diverse, quasi delle street, documenti del momento, ma queste foto non piacciono a tutti (anzi sono quasi nulli) e allora? a me non interessa, le foto le faccio per me
sono out? certamente ma non da me


Yesss. E' come se il tuo intento comunicativo fosse diretto a te stesso. Non ti importa (più) che le tue foto piacciano ad altri (che peraltro vedranno le tue foto, che comunicheranno loro qualcosa, che piaccia o no). Il "messaggio" dato dai "colori nitidi e il cielo terso" non ti "risuona" più.
Il che va benissimo, intendiamoci. Ce ne fossero.
Magari per altri il cielo terso ed i colori nitidi sono ancora validi... e per altri ancora sono soltanto un modo "stereotipato" di fare foto che piacciono.
In fondo, qui stiamo discutendo di un meccanismo della comunicazione, e quel che scrivi delle foto che ti piacciono riguarda, una volta di più, il "come"... rolleyes.gif

Vedo che mentre scrivevo ha postato anche Valerio... e mi unisco a lui nel chiedere a Tide il menu. Hai visto mai uno di questi giorni gli facciamo un'improvvisata... wink.gif

Ciao,
Davide
gciraso
Leggo con molto interesse questa discussione e mi è venuto in mente lo stesso esempio con la musica, dove nn esiste alcun messaggio visivo.
Cosa e come in questo caso sono uniti indissolubilmente. Indegno musicista, se eseguo un qualsiasi pezzo non posso prescindere dalla tecnica esecutiva (come), nè posso seguire cadenze a capocchia o note di mio piacimento (cosa). Devo attenermi alle indicazioni ed allo studio della parte. D'altro canto un esecutore migliore di me (ci vuole poco) ha un "come" superiore e trasmette qualcosa di cui io non sono capace. Mio figlio, musicista di talento, mi dice che lui suona sempre per se stesso, non per il pubblico e trova dentro di sè quello che intende comunicare nell'esecuzione e non sempre è quello che lo spettatore percepisce.

Quindi, concludendo questi miei strafalcioni e tornando ad hoc, non penso che si possa scindere il Cosa ed il Come, essendo troppo compenetrati tra di loro per poterli distinguere (questo è il mio cent).

Saluti

Giovanni
davidebaroni
QUOTE(gciraso @ Nov 4 2008, 01:09 PM) *
Leggo con molto interesse questa discussione e mi è venuto in mente lo stesso esempio con la musica, dove nn esiste alcun messaggio visivo.
Cosa e come in questo caso sono uniti indissolubilmente. Indegno musicista, se eseguo un qualsiasi pezzo non posso prescindere dalla tecnica esecutiva (come), nè posso seguire cadenze a capocchia o note di mio piacimento (cosa). Devo attenermi alle indicazioni ed allo studio della parte. D'altro canto un esecutore migliore di me (ci vuole poco) ha un "come" superiore e trasmette qualcosa di cui io non sono capace. Mio figlio, musicista di talento, mi dice che lui suona sempre per se stesso, non per il pubblico e trova dentro di sè quello che intende comunicare nell'esecuzione e non sempre è quello che lo spettatore percepisce.

Quindi, concludendo questi miei strafalcioni e tornando ad hoc, non penso che si possa scindere il Cosa ed il Come, essendo troppo compenetrati tra di loro per poterli distinguere (questo è il mio cent).

Saluti

Giovanni


Grazie del tuo contributo, Giovanni.

Fra l'altro, mi hai riportato alla mente quello che, in un altro esempio, dice Grotowsky a proposito del Teatro (altra forma di comunicazione...).
Per lui, esistono due modi di "fare teatro": quello "per il pubblico", in cui il focus è, per l'appunto, l'effetto percepito dal pubblico, e quello "per l'attore", inteso quasi più come un percorso di consapevolezza personale dell'attore, in cui il focus principale è proprio sull'effetto che si produce nell'attore.
Ora, non è che in questa ultima ipotesi non ci sia comunicazione con il pubblico... Ricordiamoci del Primo Assioma! smile.gif
Ma il focus primario sta nell'esperienza interiore dell'attore. In un certo senso, "che il pubblico percepisca ciò che vuole, o che può...": sono altre le cose definite come "importanti".
E non è che nel primo caso non ci sia un lavoro "sull'attore", o nell'attore... solo che il focus primario sta nel suscitare un certo effetto nello spettatore, il che richiede un altro tipo di approccio. smile.gif

Sono due "come" diversi, perché hanno target ed obiettivi diversi.
E sono validi ENTRAMBI.

Tornando al tuo esempio della musica... Io stesso sono un "non-musicista", nel senso che produco suoni strazianti con il mio strumento di cui godo soltanto io. biggrin.gif
E quindi capisco perfettamente il tuo esempio. Quante volte ho in mente un "cosa" specifico, e che trovo molto bello... e semplicemente non sono in grado di trasferirlo sullo strumento?

Infinite. Praticamente, quasi sempre.

Ciao,
Davide
tide
QUOTE(PAS @ Nov 4 2008, 10:19 AM) *
Ed ora, ti prego, non mandarmi a cag…

Uh per carità.
Spero sinceramente che per questo tu non abbia bisogno del mio aiuto laugh.gif

QUOTE(PAS @ Nov 4 2008, 10:19 AM) *
Come spesso ripete Davide, il primo assioma della comunicazione è che “non si può non comunicare”.

e chi dice il contrario?
chiunque entri nella mia sala da pranzo tramite il giallo detersivo (è proprio quello!!) che ho messo alle pareti può facilmente intuire quanto io sia matto...

La differenza sta in quella che Davide chiama "intenzione": io non ho tinto le pareti di giallo con l'intenzione di gridare al mondo quanto io sia folle e perciò ho potuto scegliere "come" e "cosa" mi aggradava di più, senza pormi altri problemi.
Se la mia precisa intenzione, invece, fosse stata quella di comunicare non avrei potuto evitare lo sforzo di adeguare il mio codice di comunicazione (il "come" e il "cosa") all'interlocutore che mi sono scelto.
Non avrei potuto scegliere il colore che mi piaceva ma avrei dovuto scegliere il colore adatto.
A volte le due cose possono coincidere, ma si tratta, appunto, di "coincidenze".

Il menu?
È stagione di castagne, funghi, composte di verdura e frutta, miele e formaggi stagionati, il tutto irrorato da un buon bicchiere di barbaresco.
Torta di nocciole e un goccio di moscato, per finire.
PAS
QUOTE(PAS @ Nov 4 2008, 10:19 AM) *

Ed ora, ti prego, non mandarmi a cag…
biggrin.gif

QUOTE(tide @ Nov 4 2008, 02:25 PM) *

Uh per carità.
Spero sinceramente che per questo tu non abbia bisogno del mio aiuto laugh.gif

Vedi, non hai correttamente interpretato il “cosa” per un mio difetto. Incompletezza del “come”
QUOTE(tide @ Nov 4 2008, 02:25 PM) *

Il menu?
È stagione di castagne, funghi, composte di verdura e frutta, miele e formaggi stagionati, il tutto irrorato da un buon bicchiere di barbaresco.
Torta di nocciole e un goccio di moscato, per finire.

Me gusta!

Tornando leggermente più seri:
Non penso vi sia una netta distinzione tra intenzionalità e non. Il passaggio è molto sfumato perchè l’intenzione di comunicare qualcosa è strettamente legata a momenti della nostra vita più che al nostro modo di essere.
Così anche nell’istante in cui decidiamo di premere il pulsante della fotocamera.
tide
QUOTE(PAS @ Nov 4 2008, 03:11 PM) *
Non penso vi sia una netta distinzione tra intenzionalità e non...

Nel mio caso è nettissima...
Fotografiche o teatrali che siano, c'è sempre una profonda differenza di realizzazione fra le mie opere progettate ad hoc per veicolare efficacemente un certo contenuto e quelle meramente decorative, realizzate esclusivamente perché in quel momento "mi girava così".

Parlando esclusivamente di fotografia, nel primo caso esco a "cercare" lo scatto dopo aver realizzato lo storyboard.
Ho già precedentemente deciso il taglio, il formato, il soggetto, se la convertirò in bn o ne saturerò i colori...
devo solo più riempire la casella con la miglior fotografia che mi riesce di fare, quella più "adatta".
Nel secondo caso vedo una cosa, mi piace, la fotografo. Stop.
Magari il giorno prima o il giorno dopo la stessa cosa non l'avrei nemmeno notata.
R.
Gennaro Ciavarella
nella "formazione" del progetto fotografico, anche quello inconsapevole si scartano dei percorsi, questo eliminare va reso consapevole (come dice Davide) e sperimentato per comprendere appieno il sistema di comunicazione che interpretiamo

tornando agli attori, certo esistono due sistemi ma questi sistemi sono esplicitazioni che per me valgono a posteriori perchè il fare teatro è di per se esporsi ad un pubblico

in questo senso diventano metodi e utilizzarne uno anzichè l'altro sottointende un "levare" che è significativo e che manda un non messaggio non evidente ma reale non fittizio

perchè si elimina una possibilità? perchè forse non la si vede e il non vedere non è forse anche una rappresentazione della nostra personale cultura e capacità (introduco un nuovo vulnus)

insomma quando le variabili e le invarianti sono tante il cosa ed il coma diventano membri di una stessa famiglia e non possono essere più divisi quando il frutto c'è, allora conta solo quello che si ha (o è?)

per il menù, stiamo esagerando

se mi unissi a voi con tanta fatica per perdere 40 kg, avrei difficoltà ad assecondare per intero il processo culturale che vi accingete a percorrere (ma la tentazione è moooooolto forte rolleyes.gif )
tide
QUOTE(Gennaro Ciavarella @ Nov 7 2008, 08:54 AM) *
il fare teatro è di per se esporsi ad un pubblico

Scusa Gennaro, ma questa affermazione te la devo correggere...
Non solo la parte di messa in scena per il pubblico è percentualmente quasi irrilevante rispetto al lavoro del "fare teatro", ma addirittura esistono interi e complessi progetti che la scena pubblica non la vedranno mai, perché sviluppati con altri scopi.

È invece corretto dire che, indipendentemente dalla presenza o meno di un pubblico, tutto il lavoro del fare teatro è finalizzato alla creazione di un meccanismo di comunicazione mentre la fotografia non sempre lo è.
r.
enrico
Cari amici, vi sto seguendo con attenzione.
Volevo proporvi una ulteriore riflessione. Sto leggendo delle monografie degli anni 80 (I Grandi Fotografi del Gruppo Editoriale Fabbri). Prendo la prima che ho a portata di mano, quella su Mimmo Jodice, fotografo famoso.

Osserviamo la prima (Jodice 1), che per giunta è in copertina.
E' una foto scattata a Pompei. Mi chiedo, dov'è la grandezza di questa foto? A mio avviso non è nulla più di una foto documentaria che un qualunque decente fotografo professionista (ma anche buon dilettante) avrebbe potuto realizzare. C'è solo tecnica, nel senso di messa a fuoco precisa e corretta esposizione. La validità e l'impatto dell'immagine è nell'antico pittore che ha realizzato l'affresco, Jodice non ha fatto altro che riprodurlo.

La seconda immagine (Jodice 2), se fosse comparsa sul forum e mi fosse stato chiesto di commentarla, avrei osservato che la statua in primo piano, che dovrebbe essere nell'intenzione dell'autore il soggetto della foto, statua che sembra gardare il fotografo, ha quasi la metà del volto con le alte luci bruciate e che, comunque, mi dice poco. La vedo come una foto banale, di quelle che potremmo trovare a centinaia negli album di viaggio di qualsiasi dilettante. Però è di Mimmo Jodice ed è fra le foto scelte per una monografia su di lui. Sono io che non capisco la grandezza di una immagine oppure, accanto al cosa ed al come, è importante il "Chi"?, Cioè la firma?...
Di esempi di questo tipo ne ho trovati molti nelle altre monografie, accanto, ovviamente, a fotografie eccezionali.
Illuminatemi.
Buona serata
Enrico


daniele.arconti
QUOTE(enrico @ Nov 8 2008, 07:01 PM) *
Cari amici, vi sto seguendo con attenzione.
Volevo proporvi una ulteriore riflessione. Sto leggendo delle monografie degli anni 80 (I Grandi Fotografi del Gruppo Editoriale Fabbri). Prendo la prima che ho a portata di mano, quella su Mimmo Jodice, fotografo famoso.

Osserviamo la prima (Jodice 1), che per giunta è in copertina.
E' una foto scattata a Pompei. Mi chiedo, dov'è la grandezza di questa foto? A mio avviso non è nulla più di una foto documentaria che un qualunque decente fotografo professionista (ma anche buon dilettante) avrebbe potuto realizzare. C'è solo tecnica, nel senso di messa a fuoco precisa e corretta esposizione. La validità e l'impatto dell'immagine è nell'antico pittore che ha realizzato l'affresco, Jodice non ha fatto altro che riprodurlo.

La seconda immagine (Jodice 2), se fosse comparsa sul forum e mi fosse stato chiesto di commentarla, avrei osservato che la statua in primo piano, che dovrebbe essere nell'intenzione dell'autore il soggetto della foto, statua che sembra gardare il fotografo, ha quasi la metà del volto con le alte luci bruciate e che, comunque, mi dice poco. La vedo come una foto banale, di quelle che potremmo trovare a centinaia negli album di viaggio di qualsiasi dilettante. Però è di Mimmo Jodice ed è fra le foto scelte per una monografia su di lui. Sono io che non capisco la grandezza di una immagine oppure, accanto al cosa ed al come, è importante il "Chi"?, Cioè la firma?...
Di esempi di questo tipo ne ho trovati molti nelle altre monografie, accanto, ovviamente, a fotografie eccezionali.
Illuminatemi.
Buona serata
Enrico



Ciao Enrico, mi spiace che il mio ultimo post è stato un pò ignorato, ma probabilmente io non ho ne il come ne il cosa e ne tantomeno il chi!!!! rolleyes.gif
Anch'io la penso alla tua stessissima maniera, cioè ai tuoi due parametri che hanno consentito la nascita di questa bella discussione c'è da aggiungere il "chi".
Come dicevo, molte volte si danno significati e qualità a delle fotografie che sinceramente hanno solamente uno di quei tre parametri e cioè il chi, tante volte prevale il nome e chi pubblica certe foto non è abbastanza obbiettivo nel valutarle.
Questo succede in tanti campi! Vedi in musica, se scrivessi io certe canzonette assurde che si sentono in giro, mi tirerebbero carciofi e verdure varie, ma siccome le scrive un certo.....
...si riempiono gli stadi!
davidebaroni
QUOTE(enrico @ Nov 8 2008, 07:01 PM) *
Cari amici, vi sto seguendo con attenzione.
Volevo proporvi una ulteriore riflessione. Sto leggendo delle monografie degli anni 80 (I Grandi Fotografi del Gruppo Editoriale Fabbri). Prendo la prima che ho a portata di mano, quella su Mimmo Jodice, fotografo famoso.

Osserviamo la prima (Jodice 1), che per giunta è in copertina.
E' una foto scattata a Pompei. Mi chiedo, dov'è la grandezza di questa foto? A mio avviso non è nulla più di una foto documentaria che un qualunque decente fotografo professionista (ma anche buon dilettante) avrebbe potuto realizzare. C'è solo tecnica, nel senso di messa a fuoco precisa e corretta esposizione. La validità e l'impatto dell'immagine è nell'antico pittore che ha realizzato l'affresco, Jodice non ha fatto altro che riprodurlo.

La seconda immagine (Jodice 2), se fosse comparsa sul forum e mi fosse stato chiesto di commentarla, avrei osservato che la statua in primo piano, che dovrebbe essere nell'intenzione dell'autore il soggetto della foto, statua che sembra gardare il fotografo, ha quasi la metà del volto con le alte luci bruciate e che, comunque, mi dice poco. La vedo come una foto banale, di quelle che potremmo trovare a centinaia negli album di viaggio di qualsiasi dilettante. Però è di Mimmo Jodice ed è fra le foto scelte per una monografia su di lui. Sono io che non capisco la grandezza di una immagine oppure, accanto al cosa ed al come, è importante il "Chi"?, Cioè la firma?...
Di esempi di questo tipo ne ho trovati molti nelle altre monografie, accanto, ovviamente, a fotografie eccezionali.
Illuminatemi.
Buona serata
Enrico


Hmmm, Enrico... certo che il "chi" ha la sua importanza. Ma soltanto perché siamo abituati a pensare che uno famoso faccia solo delle cose significative...

QUOTE
La celebrità è una persona che è famosa per il fatto di essere ben conosciuta. Daniel J. Boorstin


Forse dovremmo tenercelo un po' più a mente, e guardare anche le opere dei "Grandi" con maggiore disincanto. smile.gif

In questo caso, l'unico aspetto "degno di nota" che vedo è che la parte "bruciata" del viso della statua è più o meno fatta corrispondere al contorno della colonna, così che viene a sembrare un "vuoto nella colonna". Ma certo non mi sembra sufficiente per farne un capolavoro!
Probabilmente, se quella foto l'avessi fatta io, o tu, o chiunque altro dei "normali" frequentatori di un forum, sarebbe stata stroncata e l'autore esposto al pubblico ludibrio.
Ma tant'é. Il fatto é che, se ci mettessimo lì per abbastanza tempo, con abbastanza impegno, riusciremmo a trovare chissà quale recondito significato di sconvolgente profondità anche in questa foto, come in qualsiasi altra o quasi. L'importante è partire dal presupposto che il significato ci sia... wink.gif
Il paragone musicale che fa Daniele (Dani, la D2x va che é uno spettacolo, grazie... wink.gif ) regge però solo in parte. Le canzonette assurde che, come dice Daniele, se le scrivessimo noi ci tirerebbero le verdure, sono in realtà scritte proprio per ottenere l'effetto che hanno... colpiscono il target per cui sono state costruite. smile.gif
Per quel target, è assurdo Keith Jarrett, o Chick Corea, o Pat Metheny, o anche solo B.B.King o qualsiasi cosa sia più "profonda" e complessa di quelle canzoncine assurde. smile.gif
E infatti vendono MOLTO di più... che é lo scopo per cui sono state scritte e pubblicate.
Ciao,
Davide
enrico
Grazie Daniele, grazie Davide.
Enrico
daniele.arconti
QUOTE(enrico @ Nov 9 2008, 12:15 AM) *
Grazie Daniele, grazie Davide.
Enrico



Grazie a te Enrico perché provochi la gente a ragionare su quello che fa e sul perché lo fa!
Ciao Davide (non vedo l'ora di prenderla sta benedetta D2x), per quello che riguarda la musica devo dire che hai ragione, cioé tante canzonette assurde sono scritte per un certo target, cioè la massa, per vendere! Ma quando una canzonetta la scrive un artista ormai affermato da anni e anni il target è leggermente diverso, cioé si sposta dalla massa al pubblico di affezzionati ed è li che nasce la non obbiettività da parte delle persone. Io penso che in fotografia sia la stessa cosa, per il fatto che una fotografia l'abbia fatta il grande fotografo "Vattelapesca" non vuol dire che debba essere per forza un capolavoro, anche i grandi artisti fanno ogni tanto qualche s*******a!
davidebaroni
QUOTE(daniele.arconti @ Nov 10 2008, 07:49 PM) *
Grazie a te Enrico perché provochi la gente a ragionare su quello che fa e sul perché lo fa!
Ciao Davide (non vedo l'ora di prenderla sta benedetta D2x), per quello che riguarda la musica devo dire che hai ragione, cioé tante canzonette assurde sono scritte per un certo target, cioè la massa, per vendere! Ma quando una canzonetta la scrive un artista ormai affermato da anni e anni il target è leggermente diverso, cioé si sposta dalla massa al pubblico di affezzionati ed è li che nasce la non obbiettività da parte delle persone. Io penso che in fotografia sia la stessa cosa, per il fatto che una fotografia l'abbia fatta il grande fotografo "Vattelapesca" non vuol dire che debba essere per forza un capolavoro, anche i grandi artisti fanno ogni tanto qualche s*******a!

Mi unisco al ringraziamento per Enrico: i suoi "temi" sono sempre molto stimolanti ed interessanti. smile.gif

Daniele, ho capito perfettamente il tuo punto di vista, e lo condivido. Volevo solo notare che, anche in questo campo, non é il caso di fare grandi generalizzazioni... smile.gif

Ciao,
Davide
enzoscola
Che argomento complesso.

Aggiungo un altro fattore.

Il QUANDO inteso come epoca storica in cui si "propone" l'atto creativo (non prettamente artistico).

saluti

Saimon
Ataxta_Xyroj
Ciao a tutti,

leggervi mi ha fatto venire in mente un passo di un libro che ho tanto amato di Osho Rajneesh, che ha decisamente una visione Taoista, molto filosofica e poco pratica, ma ci fà riflettere, trascrivo con rispetto per ìl colto autore:

""
Non è possibile acquisire abilità nell'arte
se non hai seguito a fondo una disciplina.

Alla fine un'artista deve dimenticarsi completamente delle sue abilità,
deve dimenticare tutto ciò che ha imparato.

[...]

Si narra che un grande arciere
avesse educato un suo discepolo
alla perfezione assoluta nel tiro con l'arco,
quindi gli disse: "Adesso dimentica ogni cosa".

PEr vent'anni il discepolo insistette e andò a trovare il maestro,
ma il maestro non diceva nulla,
così il discepolo dovette attendere pazientemente.

Col tempo dimenticò tutto quanto si riferiva al tiro con l'arco,
vent'anni sono un lungo periodo, ed era invecchiato molto.

Quondi un giorno arrivò, ed entrando nella stanza del maestro
vide un'arco, ma non lo riconobbe.

Il mestro gli si avvicinò, lo abbraccò e gli disse :
"Ora sei divantato un'arciere perfetto,
ti sei scordato perfino l'arco.
Ora non devi che uscire all'aperto e guardare gli uccelli in volo,
e la semplice idea che essi devono cadere li farà cadere".

L'arciere uscì e non poteva credere ai suoi occhi:
guardò gli uccelli in volo, erano almeno una dozzina,
e caddero tutti a terra immediatamente.

Il maestro disse: "Ora non devi fare più niente.
Ti volevo solo dimostrare che si diventa perfetti
solo quando si dimentica la tecnica.
Adesso aerco e freccia non servono più,
solo i dilettanti ne hanno bisogno".

[..]
""

Tratto da : Tao : discorsi sul Tao-Te-Ching di Lao Tzu Di Osho, Bhagwan Shree Rajneesh, Anand Videha

Link all'opera completa, nel punto di questo passaggio :

http://books.google.it/books?id=J6JUduFIJS...num=4#PPA142,M1

Buon approfondimento !

Davide.

davidebaroni
Osho era un gran "filone", come si dice qui da noi... laugh.gif

Preferisco dirla in un modo più "occidentale": la competenza conscia deve diventare competenza inconscia, così da non aver più bisogno di pensare a ciò che si fa... ma questo non significa affatto aver "dimenticato" la tecnica. Anzi. Significa invece averla assimilata così profondamente che essa è diventata parte di te, e la usi in modo automatico, senza costrutti di pensiero.
Ma se ti serve, sei perfettamente in grado di ricostruire esattamente la tecnica che hai usato... o che altri hanno usato. smile.gif

E per far questo non hai affatto bisogno di "sapere il nome" di ciò che fai... hai invece bisogno di esperienza, e di tanta, tanta attenzione. smile.gif

Ciao,
Davide

"Tutta l'arte è romantica, perché se all'arte togli il romanticismo, essa diventa scienza" (Patti Smith)... E io sono per la scienza, toda vida.
enrico
QUOTE(twinsouls @ May 30 2009, 09:39 PM) *
Osho era un gran "filone", come si dice qui da noi... laugh.gif

Preferisco dirla in un modo più "occidentale": la competenza conscia deve diventare competenza inconscia, così da non aver più bisogno di pensare a ciò che si fa... ma questo non significa affatto aver "dimenticato" la tecnica. Anzi. Significa invece averla assimilata così profondamente che essa è diventata parte di te, e la usi in modo automatico, senza costrutti di pensiero.
Ma se ti serve, sei perfettamente in grado di ricostruire esattamente la tecnica che hai usato... o che altri hanno usato. smile.gif

E per far questo non hai affatto bisogno di "sapere il nome" di ciò che fai... hai invece bisogno di esperienza, e di tanta, tanta attenzione. smile.gif

Ciao,
Davide

"Tutta l'arte è romantica, perché se all'arte togli il romanticismo, essa diventa scienza" (Patti Smith)... E io sono per la scienza, toda vida.


Condivido in toto il pensiero di Davide!
Enrico
Ataxta_Xyroj
QUOTE(twinsouls @ May 30 2009, 09:39 PM) *
Osho era un gran "filone", come si dice qui da noi... laugh.gif

Preferisco dirla in un modo più "occidentale": la competenza conscia deve diventare competenza inconscia, così da non aver più bisogno di pensare a ciò che si fa... ma questo non significa affatto aver "dimenticato" la tecnica. Anzi. Significa invece averla assimilata così profondamente che essa è diventata parte di te, e la usi in modo automatico, senza costrutti di pensiero.
Ma se ti serve, sei perfettamente in grado di ricostruire esattamente la tecnica che hai usato... o che altri hanno usato. smile.gif

E per far questo non hai affatto bisogno di "sapere il nome" di ciò che fai... hai invece bisogno di esperienza, e di tanta, tanta attenzione. smile.gif

Ciao,
Davide


Bene, direi che abbiamo espresso lo stesso cooncetto, mi piaceva l'idea della parabola del santone, più 'parabolosa' .. la tua interpretazione 'occidentale' non fà una piega ..

.. però il concetto direi che è quello !

Condivido anche il parere su su Osho, però va 'letto' ... qualche bello spunto cè ...

Ciao, Davide
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