Chi è De Biasi? Nato a Sois (Belluno) nel 1923, Mario De Biasi inizia a fotografare nel 1945 in Germania, dove era stato deportato durante la seconda Guerra Mondiale. Rientrato in Italia, frequenta per alcuni mesi il Circolo Fotografico Milanese, dove organizza la sua prima esposizione nel dicembre del 1948. Nella primavera del 1953 viene assunto come fotografo nella redazione di “Epoca”, dove resterà per oltre trent’anni.Sotto la direzione di Enzo Biagi prima, poi di Nando Sampietro, realizza i suoi più famosi réportages, viaggiando incessamente per ogni angolo del mondo. In oltre cinquant’anni di attività, De Biasi è stato autore di oltre sessanta libri fotografici, ed insignito di numerosi premi internazionali, tra i quali l’Erich Salomon Preis, a Colonia nel 1964, il premio Saint Vincent per il giornalismo, nel 1982, e un premio alla carriera al Festival di Arles, nel 1994. Innumerevoli le mostre che, sia in Italia sia all’estero, gli sono state dedicate; una speciale menzione meritano la personale organizzata a Colonia, nell’ambito della mostra Gli Universalisti, presso la Photokina del 1972, e la partecipazione alla mostra The Italian Metamorphosis, al Solomon Guggenheim Museum di New York, nel 1994.
Sono in leggero anticipo. Aspettando l’apertura noto che accanto a me staziona un anziano signore che si appoggia ad un cavalletto di alluminio con sopra montata una reflex argentea con il suo scatto flessibile che pende di lato. Si aprono le porte, mi dirigo alla cassa. Il tipo invece sorpassa a passo deciso la cassa ed entra nella prima sala. Nessuno lo ferma. Curioso.

Inizio a osservare proprio le opere di De Biasi. Nella prima sala c’è una curiosa serie di stampe a colori dalle cromie spettacolari, a tratti si riconoscono bolle e bollicine che sembrano fluttuare in un liquido ora verde, ora dorato.


Riconosco qualche tappo di bottiglia, poi qualche brandello di etichetta. Da dietro le mie spalle giunge una voce: “se vuole chiedermi qualche informazione faccia pure, sono l’autore…”
Mi giro, probabilmente sul mio volto si legge un’espressione di meraviglia, farfuglio qualcosa. Poi è De Biasi che rompe gli indugi e si mette a raccontare: “Guardi che non c’è nessun photoshop qui, eh? Non ho neppure un computer a casa, si figuri. Semplicemente osservo gli oggetti, provo a illuminarli in modi diversi, a volte uso cartoncini colorati come sfondo, tutto qua.”
Superata la sorpresa iniziale provo a contribuire alla conversazione: “Beh, certo che se c’è fantasia, estro, se c’è capacità di vedere il bello nelle cose quotidiane, non c’è bisogno di usare il computer… Ma sono in pochi a riuscirci. Dove ha fatto questi scatti?”
De Biasi: “A casa, sa io bevo Ferrarelle, mi piace la bottiglia verde col tappo rosso, quando sono vuote le schiaccio perché occupino meno spazio e poi sto a guardarle. A volte resta l’umidità dentro, tante minuscole bollicine, e se ci batte il sole produce strani effetti. A volte faccio dei sandwich di diapositive, una per lo sfondo e una con il soggetto, vede, come questa qui, il giallo che si intravede sullo sfondo, è il palazzo di fronte a casa mia, questa foto l’ho fatta dalla finestra della mia cucina.” Indica una stampa stupenda, alta un metro, con colori spettacolari, un dipinto astratto e affascinante.
Provo a farlo parlare delle tecnica che ha usato, ma qualcosa mi dice che la risposta mi sorprenderà: “Ma lei cosa ha usato qui? Una pellicola per dia? Le stampe sono stupende, ha lavorato con che formato?”
“Con questa vecchia reflex 35mm e un obiettivo macro, la pellicola è da dilettanti, una delle pellicole per dia più alla buona del mercato, sa? Guardi, è questa qui (mi mostra l’etichetta del rotolo infilata nel dorso), sa ce l’avevo in casa e per non sprecarla…”
“Eh, già, ci vogliono le idee prima della tecnica! E’ così, vero?”
“Eccome. Pensi che c’è gente che quando vuole fare delle belle foto va alle Maldive. Deve partire, capisce? E magari non ha mai visto dentro casa sua. Io ho girato tutto il mondo da fotoreporter, sa? Guardi di là (indica l’altra sala), Asia, Africa, sono stato dappertutto, ma se uno vuole fare buone foto basta che si guardi intorno lì dov’è.”
Resto un attimo in silenzio. Non so come replicare, d’altronde mi trova d’accordo, che posso dirgli? Io non ho mai guardato dentro una bottiglia di plastica e … cosa mi sono perso!
Alla fine prendo coraggio: “Le dispiace se faccio qualche foto e in mezzo c’è pure lei?”
“Ma certo, faccia, faccia!”
Prendo la mia Nikon, monto il flash sulla slitta, regolo l’apertura, cerco un angolino nella sala, faccio qualche scatto.


Intanto qualcun altro, sentita la nostra conversazione si avvicina, tallona il “maestro”, vorrebbe sentirlo parlare ancora. E De Biasi lo accontenta, si prosegue in un’altra sala dove sono esposte sue opere in bianco e nero, datate tra il 1948 e il 2006. Di ognuna De Biasi ricorda perfettamente la situazione, come è arrivato allo scatto, perfino le sensazioni che ha provato. Con uguale lucidità ricorda attimi di sessant’anni fa, Tokyo nel dopoguerra, Budapest nel ’56, l’africa nera nei primi anni ’50.
La memoria è limpidissima, la voglia di raccontare tanta. Piano piano la gente entra nella mostra, si accorge della sua presenza, lo sente illustrare i suoi scatti e inizia a formarsi una piccola coda dietro di lui.
Abbandono lui e la coda, dopo averlo ringraziato per avermi accompagnato nella visione dei suoi lavori, resto a guardare ancora un po’ ed esco. Di lui mi resta chiarissimo questo: l’enorme curiosità per tutto ciò che ci circonda, la travolgente passione per cogliere la bellezza con la macchina fotografica, una passione che a 84 non sembra minimamente intaccata. La semplicità di una piccola reflex di vent’anni fa con su un 50mm e una pellicola da poco prezzo. Il piacere nell’osservare le persone nel compimento di atti quotidiani e ordinari, nel mangiare, nel bere.
Grazie per la bella mattinata, maestro.
