
Ogni giorno centinaia di migliaia di visitatori percorrono in lungo e in largo la nostra città, muovendosi nel mezzo di una metropoli, dove la vita di tutti i giorni scorre indifferente a tanta attenzione.

Frotte di turisti giapponesi, armati della loro compattina, corrono su e giù per il caotico traffico cittadino, cercando di immortalare l'anima di una capitale complessa, sfuggente, difficile da cogliere a volte anche per chi ci è nato e ci vive.

In mezzo a tutti questi potenziali clienti proliferano venditori di ogni genere di souvenir, dalla statuina del colosseo, ad improbabili riproduzioni di vedute settecentesche.

Non è raro per questo assistere a scene di vero sconforto, sentirsi frastornati, dopo una afosa giornata passata in coda per un museo, trovarsi seduti ad osservare lo scorrere delle gente magari domandandosi "ma chi me l'ha fatto fare".

Eppure come per magia da lontano può capitare di ascoltare una musica dolce, leggera, nella sua struggente bellezza in assoluto contrasto con la vita frenetica che ci circonda. Una ripida scala ci invita a tuffarci in un angolo di paradiso nel mezzo di qualcosa che ricorda un girone dantesco.

Ed è proprio lì in fondo alla scalinata, lungo le sponde del tevere, che ha origine quella musica dolcissima. Uno sconosciuto ha deciso di regalarsi qualche ora di pace, in compagnia delle sue note e dello scorrere millenario del fiume, muto testimone di tante grandi e piccole storie.

Sono grato a quest'uomo, ogni tanto lo cerco, e quando da lontano sento le note struggenti del suo flauto riesco a dimenticare per una attimo il ritmo disumano a cui siamo ormai abituati a vivere.
Sono grato altresì alla mia città che sà ancora regalarmi immagini e persone davvero speciali.
