La Valle di Susa che ho cercato è quella che da secoli ha rappresentato un luogo di confine e di transito, dove oggi ancora è possibile ritrovare e ripercorrere quelle tracce lasciate dal passaggio di un intreccio di popoli e culture, di civiltà e di eserciti, di re ed imperatori, ma soprattutto dei pellegrini che affrontavano il lungo viaggio verso Roma o ancora oltre, verso il Santo Sepolcro.
Questa valle era il percorso privilegiato per chi intraprendeva, attraverso la Francia, il pellegrinaggio penitenziale verso la Città santa.
Superato il valico del Moncenisio iniziava quella lunga catena di strutture di ricovero e di ospitalità religiosa che scandivano il lungo cammino intrapreso: prima tappa l'ospizio del Moncenisio, fondato nell'815 ed oggi sommerso dalle acque dell'invaso artificiale.
Il percorso obbligato portava più a valle alla Novalesa, uno dei più potenti monasteri del Medioevo, fondato nel 726 dal nobile Abbone, governatore di Susa. Nei sui 1300 anni di storia dovette subire anche il saccheggio da parte dei Saraceni, fu abbandonata per poi rinascere, fino alla soppressione in periodo napoleonico.
Oggi, con il ritorno dei monaci benedettini, l'attività religiosa è ripresa e Novalesa è uno dei più importanti laboratori per il restauro di codici , di manoscritti e libri antichi, nonché sede del Museo archeologico dove sono esposti reperti che testimoniano di 1400 anni di storia della val Cenischia.
In questi mesi sono ancora in corso importanti lavori di consolidamento e conservazione su gran parte della struttura abbaziale.
Ancora più a valle, oltrepassata Susa ed attraversata la Dora Riparia, il 'sentiero dei Franchi' percorreva a mezza costa la destra orografica della valle.
Ed è qui che inizia il mio pellegrinaggio verso i luoghi protagonisti delle immagini che presento:
l'Abbazia certosina di Monte Benedetto, la Sacra di San Michele ed infine la Precettoria di S.Antonio di Ranverso.
L'Abbazia di Monte Benedetto
Fondata nel 1198, la Certosa di Monte Benedetto fu abitata dai Monaci Benedettini per 3 secoli, fino a quando, nel 1473, una eccezionale piena del Rio Fontane la danneggiò irreparabilmente, le celle dei monaci furono distrutte, uno smottamento devastò la Correria (o casa bassa).

I monaci furono costretti a riparare più a valle, nella Grangia di Banda, che divenne sede del monastero dal 1498.
La Certosa così abbandonata, ha conservato parti architettoniche non contaminate da successivi abbellimenti o arricchimenti, che testimoniano l'originale austerità e povertà che caratterizzava i primi insediamenti certosini.
Grazie agli interventi illuminati dei proprietari del terreno su cui sorge la Certosa e dell'Ente Parco Orsiera-Rocciavrè, nel 1999 sono stati completati i lavori di recupero e salvaguardia delle strutture rimaste.
In un inverno così generosamente ricco di neve salgo alla Certosa per l'antica mulattiera che la collega a Villar Focchiardo.
Non c'è nessuno quando arrivo ai 1200 m. di altitudine dove sorge il complesso: ho scelto un giorno infrasettimanale per questa visita. La solitudine costituisce un elemento fondamentale per una comunità certosina e va ricercata anche da chi, anche solo per poche ore, vuole riviverne la storia.



San Bruno, fondatore dell'ordine dei Certosini, nel 1084 costituiva il primo insediamento nel massiccio della Chartreuse, alla ricerca di quello stesso isolamento praticato dai primi santi eremiti cristiani nei deserti.
In mezzo a questo deserto di neve e di alberi, al cospetto dei 3538 metri del monte Rocciamelone, quel senso di solitudine aleggia ancora e cerco di fotografarlo.



Poco a valle della Certosa, il Sentiero dei Franchi si snoda sul fianco delle montagne: direzione Est, verso il monte Pirchiriano, sulla cui sommità sorge la Sacra di San Michele.
“Culmine vertiginosamente santo” (Clemente Rebora).

Salgo all'Abbazia di S.Michele della Chiusa (o Sacra di San Michele) percorrendo ancora uno degli antichi sentieri. Sembra - ed è realmente così- parte integrante della montagna, roccia nella roccia, mentre la luce di un mattino di fine inverno accende il verde degli archi rampanti ed il rosso dei mattoni in cotto della basilica sommitale.

L'Abbazia nasce alla fine del X secolo per volere di Ugo di Montboissier, anch'egli cavaliere penitente e pellegrino 'Romeo', andandosi a sovrapporre a più antiche strutture eremitiche.
Adverto fu il primo Abate di una comunità benedettina che operò in questa Abbazia dal X secolo fino al 1622, anno in cui la Bolla di Papa Gregorio XV metteva fine all'ordine dei monaci benedettini.


Il XII secolo segna il periodo di massimo splendore per questo che fu uno dei più importanti monasteri benedettini d' Europa. A tale epoca risale l'attuale basilica a tre navate, che poggia sulle celle primitive, mentre le campate occidentali della chiesa e gli edifici a nord del complesso risalgono al periodo gotico (metà sec. XIII).
Furono gli interventi di salvaguardia e restauro eseguiti nell'ottocento ed inizio novecento a determinare l'attuale fisionomia della Sacra, in particolare con l'inserimento dei quattro archi rampanti ad opera di Alfredo d'Andrade, in una riproposizione molto personale e criticata dello stile tardo-gotico.

Dopo circa due secoli di semi abbandono nel 1836 l'abbazia veniva affidata da re Carlo Alberto ad Antonio Rosmini e Papa Gregorio XVI concedeva in perpetuo l'abbazia ai Padri Rosminiani, che ancora oggi, anche se in numero assai esiguo, sono custodi di questo 'culmine vertiginosamente santo'.



La legge regionale n.68 /1994 ha eletto la Sacra monumento simbolo della Regione Piemonte.
Abbandonata l'ospitale Sacra, il cammino dei pellegrini volgeva verso una nuova tappa del lungo viaggio. Giù verso i laghi di Avigliana, costeggiando la palude dei Mareschi e la collina morenica. La valle di Susa si è ormai aperta sulla pianura torinese.
Seguo anch'io quest'antica mulattiera, chiamata 'Strada dei Principi' perchè nel 1836 da qui transitò il corteo che portava le salme di 24 principi di casa Savoia dal Duomo di Torino alla Sacra di S. Michele.

Giunto al colletto del Farò, ultimo sguardo (e foto) alla Sacra e poi inizia la discesa verso la terza tappa di questo personale pellegrinaggio fotografico.
Abbazia di S.Antonio di Ranverso

L'antica strada non è molto lontana dal traffico caotico della statale che dalla valle di Susa porta a Torino. Percorro l'ultimo tratto su di un acciottolato consunto: al fondo svettano i pinnacoli e le ghimberghe rosseggianti della precettoria, sorta nel 1188 con lo scopo di assistere e curare i pellegrini affetti dal dolorosissimo 'fuoco di S.Antonio'.
Compito dei monaci antoniani era inoltre quello di allevare maiali per destinarne il grasso alla cura delle piaghe tipiche dell'herpes zoster. A questa pratica si ricollega l'iconografia che raffigura S.Antonio con un maialino ai piedi.

Altre sensazioni suscita questa piccolo complesso, rispetto alla vertigine che la Sacra lascia nel cuore del visitatore. Un angolo di Medioevo sorto sulle rive del 'Rio Inverso', con le cascine ancora attive, da cui provengono belati e muggiti, ed addossate 'senza rispetto' alla Chiesa, con l'edificio dell'Ospedaletto anch'esso ornato di formelle in cotto e da pinnacoli, l'edificio del convento ed il chiostro.

All'interno della Chiesa e della sacrestia sono custoditi affreschi del Quattrocento di raro fascino: la 'Salita al Calvario', le 'Storie di S.Biagio' e le figure dei Profeti, tutte opere del torinese Giacomo Jaquerio, oltre ad un polittico cinquecentesco di Defendente Ferrari. Risalgono proprio al Cinquecento i lavori di ampliamento ed ornamento che hanno conferito alla chiesa l'attuale aspetto.



Scatto ancora un'immagine ad un dimesso anziano signore, che con una consunta bisaccia a tracolla varca l'ingresso della cascina: forse un ultimo pellegrino...

Il mio pellegrinaggio finisce qui.
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Testo e fotografie fanno parte di una mostra esposta al Museo Nazionale della Fotografia di Brescia fino al 26 luglio.
Foto scattate con fotocamera Nikon D80 - obbiettivi utilizzati: AF-S Nikkor 17-35 f/2.8D; AF Nikkor 35-70 f/2.8D e AF Nikkor 80-200 f/2.8D.
Grazie per l'attenzione.
Renato Samorè