enrico
Nov 8 2009, 10:05 PM
"... al di là delle pose fisse, degli stereotipi, dei cliché, dei codici antiquati, al di là dei rituali d'ordine cronologico e dell'inevitabile scansione degli avvenimenti familiari, l'album di famiglia non cessa d'essere un oggetto di venerazione...
... lo si apre solo con emozione, in una specie di cerimoniale vagamente religioso, come se si trattasse di evocare gli spiriti. Certamente ciò che conferisce un tale valore a questi album non sono né i contenuti rappresentati in se stessi, né le qualità plastiche o estetiche della composizione, né il grado di somiglianza o di realismo dei cliché, ma è la loro dimensione pragmatica, il loro statuto di "indice", il loro peso irriducibile di riferimento, il fatto che si tratta di vere tracce fisiche di persone singolari che sono state lì e che hanno dei rapporti particolari con coloro che guardano la foto."
Philippe Dubois
"Quelle ombre grigie o seppia, fantomatiche, quasi illeggibili, non sono più i ritratti tradizionali di famiglia, sono la presenza sconvolgente di vite arrestate nella loro durata, liberate del loro destino, non per i prestigi dell'arte, ma per virtù di un meccanismo impassibile; la fotografia non crea, come l'arte, l'eternità, essa imbalsama il tempo, lo sottrae alla propria corruzione."
André Bazin
"Come impronta luminosa, la foto è la presenza intima di "qualcosa" di una persona, di un luogo, di un oggetto. Nello stesso tempo, essa è il più forte dei sequestri "una volta-mai-più". Essa data senza pietà gli esseri che sono per noi quelli più vivi, ma al di fuori di ogni durata. Li mette in uno spazio ben individuabile, ma al di fuori dei luoghi veri. Ciascuno non è più che una frazione di un istante e un pezzo di spazio che non possiamo più vivere, né rivivere."
Henry Van Lier
I pensieri di questi tre autori pongono l'attenzione di quella che forse è l'essenza della fotografia: il suo statuto di "indice", di impronta. E' una realtà di cui spesso ci dimentichiamo, concentrati sui valori artistici e comunicativi dell'immagine fotografica. Eppure è un campo su cui è interessante riflettere. Vogliamo provarci?
Enrico
buzz
Nov 9 2009, 12:21 PM
Sul fatto che una foto significhi qualcosa per chi l'ha scattata, indipendentemente dal risultato tecnico-artistico non ci piove.
Gli album di famiglia ne sono un vivo esempio.
Non è necessario essere fotografo amatore o professionista per lasciare che della luce entri nella scatoletta magica e formi quel disegno che poi conserviamo gelosamente nell'album.
La riflessione mia inece riguarda la pratica, ovvero il fatto che si stampi sempre meno, affidando le nostre memorie a dei supporti che, ahimè, sono destinati a durare poco nel tempo.
Prendo in mano la foto del bisnonno scattata quasi 100 anni fa e ancora posso vederla. Sbiadita, ingiallita e consumata dal tempo, ma la sua immagine sta ancora la, fiero dei suoi baffoni e in quella posa statuaria tipica del periodo.
Mi domando fra soli 20 anni, quanti di noi vedranno ancora i filmati fatti a scuola con il videofonino, o le foto conservate su un CD che nel frattempo si è riempito di buchi (mi è successo) o impossibile da leggere per mancanza di un lettore.
(già è difficile trovare un riproduttore di cassette betamax o addirittura un 9mm.)
Dicono che le stampe inkjet durino più di 100 anni: nche s non credo arriveremo mai a scoprirlo, vale la pena di provare!
enrico
Nov 9 2009, 01:09 PM
Grazie Buzz per il tuo intervento.
Quello della conservazione delle foto in effetti è un problema. I supporti ottici hanno durata limitata nel tempo. Io ho tre dischi rigidi dove conservo le immagini. In ogni caso, quelle importanti e significative le stampo e le incollo sull'album.
Un altro problema è nella enorme quantità di scatti che le digitali consentono. Migliaia di ricordi sono lì, sotto forma di tracce magnetiche e di tantissime fotografie non ci ricordiamo nemmeno di averle fatte.
L'altro cui accenni è quello dei formati. Fra alcune decine di anni, sarà possibile leggerle? Avevo dei documenti (non fotografici) scritti con Work. ora non riesco più a leggerli: li ho persi.
Invece ho ben conservati in soffitta qualche centinaio di negativi, molti su vetro, di mio padre, ancora in perfetto stato.
La riflessione però sulla quale volevo far convergere l'attenzione, è su di un aspetto della fotografia spesso trascurato: quello di documento. Nell'album di famiglia, le foto sono "documenti", ma sono anche qiualcosa di più per chi di quella famiglia fa parte. Una foto di mio padre o di mia madre riuscita male, mossa, fuori fuoco, mal inquadrata, non la getterei mai nel cestino!
Sento tante volte parlare a sproposito di foto artistica. Il concettto di arte è un concetto vago e legato all'epoca ed alla cultura. Io preferisco parlare dell'aspetto comunicativo ed espressivo della fotografia. Ma andando più a fondo, non si può negare che in ogni fotografia ci sono sempre due componenti. Vi ricordate quando abbiamo studiato sui banchi di scuola i vettori ed il calcolo vettoriale? Un vettore può essere scomposto (graficamente con la regola del parallelogramma) in due componenti lungo due direzioni date...
Ebbene, se consideriamo la foto il vettore, le due componenti in cui possiamo scomporla sono la realtà oggettiva che quella foto ha generato e l'autore che quella realtà ha interpretato.
In ogni foto può prevalere l'una o l'altra di queste componenti. In ogni caso, nessuna delle due potrà mai azzerarsi. Se prevale fortemente la prima componente, ci troviamo davanti ad una foto documentaria. Se prevale fortemente la seconda, ci troviamo di fronte ad una foto tematica. Con tutte le sfumature intermedie come nella foto narrativa.
In ogni caso, a differenza della pittura (il pittore può dipingere in una stanza vuota i suoi contenuti mentali), la fotografia è un "indice": essendo anche "impronta" del reale, a quel reale che l'ha determinata ci riporta con forza.
Ed è appunto nel guardare le foto dei cari che la barriera della foto come "rappresentazione" e come "espressione" viene ad infrangersi e noi veniamo a trovarci a tu per tu col soggetto, con tutta la carica emotiva che ne consegue. La fotografia è anche questo.
Enrico
buzz
Nov 9 2009, 03:11 PM
comincio dalla fine:
Per me la fotografi aè soprattutto questo.
Inizia come documentazione, alla stessa maniera di come i preistorici rappresentavano i loro episodi di caccia.
Il desiderio dell'uomo di lasciare una traccia di sé che gli sopravviva nei secoli.
Prima della footgrfaia quindi sono i graffiti, poi il disegno, via via sempre più perfezionato, fino a diventare un'ottima rappresentazione dl mondo circostante.
Ma l'uomo ha una ocmponente fantassiosa nella sua mente, una componente spesso molto fortel, ed ecco che il disegno diventa arte, rappresentazione di qualcosa che ne significhi un'altra.
Lo stesso è accaduto nella fotografia.
Dapprima gli esperimenti pionieristici, poi inizia il piacere di raffigurare la realtà e a seguire, quando l'uomo si è reso conto che può comunicare quel "qualcosa" diverso dall'evidente, ecco che anche la fotografia diventa una forma d'arte.
Composta come dici tu stesso da forma e contenuto.
Torniamo in tema:
Qui mi trovi perfettamente in sintonia con il tuo pensiero.
Npoi ci sbattiamo per ottenere le foto nitide, pulite, dritte, regolate da un equilibrio statico innato nel nostro sguardo, ma in fondo poi cosa ci rappresenta quella foto?
E' più importante un poanorama di ansel adams o la foto dei nostri nonni? o dei nostri cari persi?
Le linee sono due. Una ti porta a dichiarare un'opera d'arte patrimonio umano, dargli una importanza superiore alla stessa datagli dall'autore. (in fondo quello non aveva fatto altro che guardare le montagne rocciose, stabilire l'esposizione, scattare a fare stampare in maniera ineccepibile).
L'altra invece, è quella del sentimento. Quella che ti porta a conservare la foto di tuo figlio perchè ha un bellissimo sorriso.
Poco importa se mossa, sfocata, sottoesposta, storta...
E' ciò che rappresenta che è importante. Lo è per te e per te solo. Non lo sarà per nessun altro, perchè nessun altro potrà leggere da una foto sfocata, mossa sottoesposta, storta la gioia o la malinconia che hai provato nello scattarla, e quella che provi nel rivederla.
Quando guardo l’album dei ricordi mi vengono alla mente le parole con le quali Barthes inizia la sua Nota sulla Fotografia:
Un giorno molto tempo fa, mi capitò sottomano una fotografia dell'ultimo fratello di Napoleone, Girolamo. In quel momento, con uno stupore che da allora non ho mai potuto ridurre, mi dissi: "Sto vedendo gli occhi che hanno visto l'Imperatore"…
Noi guardiamo gli occhi che a loro volta ci guardano dall’album. Si instaura un tramite comunicativo che ci “fa pensare”, che supera la barriera del tempo per riproporci situazioni dimenticate o per farcene immaginare altre che non abbiamo mai vissuto.
La realtà oggettiva , o meglio la realtà percepita che portò a scattare quelle foto mi risulta difficile Enrico scomporla vettorialmente.
E’ un esercizio analitico che viene completamente spazzato via dall’alito di vento che entra da quella finestra sul tempo.
Quelli sono gli occhi che io guardai quando ero bambino.
Quelli sono gli occhi che videro gli orrori della guerra.
Quelli sono gli occhi che…
davidebaroni
Nov 9 2009, 07:40 PM
Questa è, per me, una discussione estremamente interessante... perché mi permette di dare un'occhiata a un mondo per me sconosciuto, o quasi.

Ho un intero scatolone di foto (stampe, negativi, lastrine...) "di famiglia"... in garage. Non le guardo mai. Non sono interessato al passato...
Le uniche foto di famiglia che, a volte, mi danno emozioni quando le guardo sono quelle di mia madre, e l'emozione più frequente è il dolore, dovuto al ricordo della sua morte e delle sue circostanze e modalità (nonché della sua vita, per certi aspetti, ma questo è un altro discorso). Non le guardo spesso, e certamente in casa non ne ho nemmeno una.
Così come non ho foto mie, né che mi ritraggano né scattate da me, in giro per casa.
Attraverso le foto cerco di esprimere un mio "sentire", una mia "visione del mondo". Non solo, certo, ma "principalmente" quello.
Se poi faccio foto "per qualcuno" (di recente ho fatto da "secondo fotografo" al matrimonio di una coppia di amici, ad esempio), dopo averle consegnate difficilmente le riguardo, a meno che non ce ne sia qualcuna che "mi risuona dentro" in modo particolare, perché esprime qualcosa di importante per me.
Eppure moltissimi dei miei scatti sono essenzialmente documentazioni. Solo che finisce che è come se non fossero per me.

Forse dovrei andare da un qualche collega e farmi curare...

Ciao,
Davide
nuvolarossa
Nov 10 2009, 10:01 PM
Questa discussione aperta da Enrico mi ha fatto venire immediatamente in mente un documento pdf che avevo fatto quasi due anni fa che trattava proprio questo argomento... Era una cosa molto personale e allora non me la sono sentita di condividerla con una platea vasta come il forum Nital, ma l'avevo condivisa con quelli che al tempo erano gli amici di un altro forum, molti dei quali assidui frequentatori anche di questo.
Ho faticato molto a "ripescarlo" negli hard disk esterni nei quali si era infilato e oggi voglio riproporlo qui, perchè attinente a questa discussione. Non sono più "alla soglia dei 40", ma li ho passati da un annetto... Ma lasciamo parlare il documento, per chi fosse interessato...
IL VALORE PERMANENTE DELLA FOTOGRAFIA...
enrico
Nov 11 2009, 08:11 AM
Bellissimo pdf, che esprime tutto il valore della foto-ricordo e la struggente nostalgia che ne deriva.
Sono foto magari semplici dal punto di vista "artistico" ma che, come il buon vino, acquiatano valore nel tempo e ci fanno riflettere sul significato della vita.
Grazie per il contributo
Enrico
PAS
Nov 11 2009, 09:47 AM
Più sopra accennavo a ricordi “non vissuti”. Ovvero alla potenza che ha spesso la fotografia nel sollecitare nel nostro immaginario la ricostruzione di situazioni antiche che ci hanno preceduto nel tempo.
E’ quello che spesso provo rivisitando l’album dei ricordi di mio
padre
enrico
Nov 11 2009, 10:36 AM
E' interessante questo concetto del "non vissuto". L'ho sperimentato anch'io sfogliando fra le foto di mio padre. Ma la cosa interessante è che provo grande emozione anche nel vedere immagini lontane nel tempo, come mi è successo con foto di Atget che ritraevano la vita di tutti i giorni nell'ottocento francese. Immagini lontane quindi da legami familiari, ma ho sentito forte la sensazione che quei tempi mi appartenevano, ne facevo parte. In un certo senso erano anche la mia storia.
Enrico
cesare forni
Nov 13 2009, 12:47 AM
ci sono troppe cose per me "complicate"
è molto più semplice parlare di pixel e grandangoli...
cerco di mettere un po' di ordine nella mia testa
grazie a tutti
buona notte
cesare