QUOTE(tide @ May 27 2008, 06:46 PM)

È questo è probabilmente il bandolo della matassa...
Semplicemente non credo che esista questa fantomatica "qualità con la maiuscola" e che non abbia senso parlare di qualità in modo non rapportato a uno scopo, una destinazione d'uso.
Faccio un esempio ulteriore.
Uno dei modelli matematici ai quali mi è capitato di lavorare si occupava di misurare la qualità del latte.
Di questi tempi si fa un gran parlare del latte di alta qualità, la cui composizione è persino regolamentata per legge.
Ebbene quello che viene venduto nei supermercati come latte di alta qualità, dal mio sistema sarebbe stato valutato pessimo. Questo perché la vigente normativa è riferita al consumo alimentare domestico mentre il mio sistema ragionava in funzione delle esigenze dell'industria casaria. Nel primo caso è indice di qualità l'alta percentuale di sieroproteine, nel secondo sono fondamentali le caseine.
La qualità può solo essere relativa e, come giustamente affermi, misurata in base a criteri e parametri specifici individuati sulla scorta dell'analisi del risultato da ottenere e del processo che porta ad ottenerlo. Tanto quella di un litro di latte, quanto quella di un processo produttivo, di un cuscinetto a sfere, di un'organizzazione relazionale o di un flusso comunicativo (ovvero di un'opera d'Arte).
Ecco, credo che qui sia il "punto". Io
"credo" che la Qualità
esista, sia
identificabile, e che per farlo occorra rispettare certe condizioni di partenza. Ma sono perfettamente consapevole che si tratta di
una mia convinzione... e che le
esperienze concrete che supportano tale convinzione sono ovviamente
"filtrate" dal mio stesso sistema di credenze, e quindi
non attendibili. Esattamente
come quelle che supportano qualsiasi altro sistema di valori e credenze.

Nel momento in cui tu "credi" che la Qualità non esista, continua a non esserci alcun problema. Almeno fino a che non iniziamo a cercare di persuaderci reciprocamente che uno dei sistemi di credenze è "migliore", o "più vero", dell'altro...

A me basta notare che la divergenza, laddove esiste, è SEMPRE (come in questo caso)
a livello di tali sistemi...
QUOTE(tide @ May 27 2008, 06:46 PM)

Tutto ovviamente vero (ci mancherebbe, è il tuo campo), cercavo goffamente di dire una cosa diversa...
Purtroppo non ho la proprietà di linguaggio necessaria, ma provo a rispiegarmi...
Tu parli di comunicazione interpersonale, quindi in qualche modo diretta, io in quel paragrafo mi riferivo all'espressione artistica, in cui la comunicazione viene mediata da una forma immaginata dall'autore, forma alla quale lo stesso autore "affida" il contenuto in attesa che questo venga letto da un fruitore.
In questo caso il primo meccanismo che deve scattare è quello di attirare l'attenzione del "lettore" sulla "forma" in questione.
Per questo sostenevo che la provocazione, per esempio, è un mezzo in alcuni casi efficace nell'attirare l'attenzione.
È, comunque, solo una volta che si è instaurato il contatto che la comunicazione può avere inizio e a questo punto diventa come tu dici importante il ruolo giocato dall'affinità anche perché, trattandosi nel caso dell'Arte di una comunicazione giocata più sul piano emozionale che su quello cognitivo, maggiore è il grado di immedesimazione, minore è l'interferenza.
r.
La tua proprietà di linguaggio è perfettamente adeguata, Roberto. Semmai è il
linguaggio ad essere uno strumento di comunicazione inadeguato...
E quello che dici non mi sembra essere tanto
"una cosa diversa", ma
"la stessa cosa detta in un modo diverso". Per inciso, dal mio punto di vista, la "comunicazione interpersonale" non è affatto necessariamente
diretta. O, se preferisci, non è detto che la comunicazione artistica sia indiretta... Quando dico che "leggendo il portfolio di una persona si legge il fotografo ancora più che le sue fotografie", intendo che anche la comunicazione artistica è "interpersonale" e in un certo senso diretta, e che un dato fotografo fa
QUELLE foto, in
QUEL modo, e non altre in altri modi, perché QUELLO
corrisponde al suo sistema di valori e credenze... ed è questa "comunicazione" che "passa" attraverso le sue opere e "cattura" l'attenzione del
fruitore, come lo hai chiamato tu. Certamente questo accade a un livello che, almeno all'inizio, è
inconscio e non razionale... Poi intervengono altri tipi di processi mentali che ci permettono di razionalizzare la cosa.

Permettimi solo di dire che "Le vie della comunicazione sono sottili ed infinite", tanto che il Primo Assioma della Comunicazione dice che
"Non si può non comunicare: OGNI comportamento è comunicazione". Questo perché l'attribuzione di significato viene fatta dal fruitore... Spesso soprattutto o del tutto inconsciamente. E a volte, come tu giustamente noti, la provocazione è la via migliore per catturare l'attenzione... Se leggi "Terapia provocativa", di Frank Farrelly, o i libri di e su Milton H. Erickson, vedrai anche come e perché funziona. Sono meccanismi noti, ma non funzionano per tutti... niente funziona per tutti. Erickson era arrivato ad un tale livello di capacità di osservazione e sistematizzazione che c'era chi sosteneva che "leggesse nella mente"... ma non era vero.

Però sapeva leggere fra le righe della comunicazione, e comunicare a sua volta nello stesso modo.
Ma è un discorso complesso... Magari un giorno ne parliamo intorno a un tavolo, mentre ci mangiamo qualcosa di buono.

Ciao,
Davide