Prendo lo zaino. Metto dentro un corpo macchina ed alcuni obiettivi, ed eccomi sull’auto con un bel dilemma. E’ adesso dove vado a cercare spunti fotografici? Qualche attimo d’esitazione, e decido. Mi avvio verso la valle del Belice, colpita dal terremoto nel 1968, 42 anni fa.
Era da anni che volevo andare.
Dopo circa un’ora di viaggio, arrivo al bivio, che mi segnala l’uscita verso i paesi devastati allora dal terremoto.
Il primo paese che si trova dopo l’uscita dalla Strada Statale, è Poggioreale, decido di andare li.
Dopo pochi chilometri, a valle del vecchio centro abitato, mi si presenta davanti il nuovo insediamento costruito dopo il sisma, ancora alcuni chilometri, ed ecco di là da una curva il paese adagiato su di una collina, come a sovrastare la vallata.
Mi fermo, scendo dall’auto, da qui esso appare ancora integro, quasi come se nulla fosse mai accaduto.

Riprendo il viaggio, ed eccomi che arrivo a quello che era l’ingresso del paese, mi si staglia davanti un cancello che chiude l’area con un cartello off limits. Il comune, ha demanializzato l’area per scoraggiare i visitatori, c’è il rischio di crolli.

Guardo oltre il cancello e vedo davanti a me un teatro di rovine.

Il mio primo pensiero è stato: che faccio? Torno indietro o cerco un’altra via d’accesso?
Scelgo la seconda soluzione.
Trovato un accesso, vedo davanti a me quello che resta della vecchia
Poggioreale, o meglio del “paese fantasma” di Poggioreale.

Mi guardo intorno, un brivido mi sale lungo la schiena, mi tornano in mente quei momenti, quando nel cuore della notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968 mi sveglio, e seduto nel letto cercavo di capire cosa stesse succedendo.
Non avevo la lucidità mentale per capire se alzarmi o nascondermi sotto le coperte, la casa sembrava crollarmi addosso. Non avevo ancora compiuto 17 anni.
Da lì a poco, la presenza di mio padre e le sue parole, mi hanno fatto rendere conto che si trattava del terremoto, il mio primo terremoto. Da li in poi ne ho sentiti tanti.
Non nascondo che, guardando la distruzione che c’era intorno a me, ho avuto degli attimi di panico, per la paura che da un momento all’altro potesse ripetersi l’evento.
Il coraggio ha avuto il sopravvento, tiro fuori la macchina fotografica dallo zaino e m’incammino su di una strada che non porta da nessuna parte ove sia la vita. Ferita tra le macerie, essa percorre soltanto i resti delle rovine dove ancora perfettamente decifrabile è l’intreccio urbano tra abitazioni, cortili, vicoli, strade, chiese, palazzi nobiliari e il pregiatissimo teatro.
Alcune abitazioni

Ciò che resta del cinema a Piazza Elimo

I Resti di una Chiesa

Un Palazzo Nobiliare

Il Portale dello stesso palazzo

Il Teatro

Resti chiaramente leggibili, coperti in parte da vegetazione rigogliosa, che fa apparire ancora questo paese nei suoi contorni urbani e nella definizione degli spazi, e che perciò, ancor di più, aprono uno squarcio doloroso nella memoria storica di Poggioreale.
Camminare tra quei ruderi, guardare quelle stanze sature di silenzi e profondissime solitudini, accarezzate da un vento leggero e dallo gracchiare dei corvi, fa sì che tutte le cose prendano vita, diviene un’esperienza emozionante, animata da memorie e ricordi. Oggi sono ancora perfettamente visibili quei luoghi in cui la vita quotidiana degli abitanti del piccolo paese si svolgeva serena, dalle botteghe semidistrutte, alle abitazioni con i propri ambienti di cui tuttora è possibile intuirne l’arredamento, la scuola all’interno della quale si possono ancora vedere banchetti ridotti in macerie;
La bottega del macellaio

Il Frantoio

Un’aula della scuola

fino alla Biblioteca Comunale dove all’interno vi è un murales che riempie di colori quello scenario di distruzione e dolore.

Poggioreale nel 1998, trent’anni dopo, pose un monumento nell’ancora integra Piazza Elimo,

per non dimenticare mai “L’Ira funesta” di quel terremoto…

Giovanni Valentino