Viaggiare in fuoristrada, vedere il tramonto tra le dune, dormire sotto le tende berbere, assaporare l’alba, viaggiare sulle mitiche piste della Parigi-Dakkar e nella parte più vera del Marocco,hanno stimolato la nostra fantasia e condizionato la scelta.
A volte facciamo ore e ore di volo per andare lontano e non ci rendiamo conto che, anche relativamente vicino, ci si può calare in ambienti e luoghi assolutamente unici e splendidi.
Nel gruppo di 22 persone (tre fuoristrada) compresa guida ed autisti, Noi (Bruno e Paolo: “i più grandi”) ci siamo ben amalgamati con i più giovani compagni di viaggio con i quali, con il trascorrere dei giorni, si è creata un ottimo rapporto, solidale e amichevole.
Si parte……
La prima sensazione, lasciata Marrakech, è stata di viaggiare nel “nulla”.
Al massimo qualche casa di terra e fango, sorvegliati in lontananza dall’affascinante catena del Grande Atlante ancora innevata.
Poi all’improvviso la sorpresa: un brulicare di gente (adulti e bambini), merci, suoni, colori, profumi (non sempre gradevoli). Avevamo raggiunto un Paese, nel bel mezzo di un caotico mercato settimanale: “un souk di montagna”.
Proseguendo abbiamo visitato l’antica moschea in restauro di Tin-Mal del XII secolo, in cui il sole, “sfruttando abilmente” le colonne e la mancanza del tetto, creava suggestivi giochi di luci ed ombre sul pavimento.






Il Passo di Tizi n’Test a 2092 metri, superato percorrendo tra le nuvole una strada strettissima e tortuosa dei primi del ‘900, conferisce al primo giorno di viaggio un fascino eccezionale che neppure il mal d’auto continuo di Beppe, un nostro compagno di jeep e d’avventura, è riuscito ad incrinare.
Quante volte nelle nostre peregrinazioni fotografiche dolomitiche avevamo percorso sentieri da “capre” per avere sotto di noi le nubi e all’orizzonte le vette che si stagliavano nell’azzurro sopra un bianco tappeto?
Chi ha camminato per ore e scalato può capire la sensazione e le emozioni provate quando, arrivati al passo, lo scenario era quello che tante volte avevamo cercato e non sempre trovato.
L’esatto contrario di quanto avevamo immaginato ed iniziato a vedere!


E’ l’alba di un nuovo giorno.


Il paesaggio che ci propone il viaggio non coincide sempre e solo con distese senza alcuna forma vivente.


Nulla di più riduttivo. Distese di sassi ai piedi di colline in cui la vegetazione “pioniera” disegna arabeschi con colori tenui e irreali, oasi “calde” con palme e campi coltivati e oasi “fredde” con betulle e vegetazione simile alla nostra.
Nelle nostre foto ma principalmente nei nostri ricordi le immagini di quanto visto rimarranno indelebili come una “malattia” che ti colpisce lasciandoti nel corpo segni incancellabili.



Il fuori strada sulle piste della Parigi-Dakkar è l’esaltante preambolo alle mitiche “Dune di Merzouga”.
Circa 100 Km tra deserto roccioso, villaggi, Bambini sparsi lungo le piste disposti a mangiare la polvere pur di vendere un souvenir ed altri fuoristrada con cui abbozzare simboliche competizioni.

L’antipasto di deserto su cui facciamo una prima sosta ci vede trasformati in bambini euforici vogliosi di rotolarsi nella sabbia.
Purtroppo due “compatte” pagano il prezzo dell’euforia con una gloriosa fine (mors tua vita Nikon..), ma la fatidica frase “Tanto era tecnicamente superata” è una consolazione che mal si adatta ai malcapitati rimasti senza possibilità di fotografare.
Infatti il Bello doveva ancora venire………...

E’ un miraggio? L’immagine tremolante e sfumata che ci appariva all’orizzonte era invece una realtà!
Il vero ed atteso clou del viaggio si manifestava in modo sempre più reale in tutta la sua imponenza.
Eravamo finalmente giunti alle Dune di Merzouga.
Le grandi dune come quelle che avevamo di fronte, si evolvono con i venti cambiando le linee sinuose, ma sono vere e proprie immobili montagne.

I motori dei fuoristrada si spengono e le nostre Nikon vibrano tra le mani.
Non è però ancora il momento di dare libero sfogo ai nostri desideri.
Dobbiamo aspettare di prendere possesso delle tende, di bere il the di benvenuto e decidere se affittare un cammello con relativo conducente per risalire le dune.
Noi, a differenza degli altri rinunciamo al “mezzo di trasporto”, per avere la massima libertà negli spostamenti e nella scelta dei punti di ripresa.
Camminiamo sulla sabbia a volte dura e compatta a volte morbida tanto da affondare oltre la caviglia, liberi di fotografare in controluce o con il sole alle spalle, affiancando precedendo o seguendo la carovana dei nostri compagni cammellati.
La salita, a volte di corsa è stata una dolce fatica, cancellata dallo spettacolo sempre diverso che il Deserto ci proponeva.
Ad ogni sosta, l’immagine che vedevamo attraverso l’obiettivo era emozionante e mutevole per la continua variazione di luci, ombre, profili e colori delle dune.
La notte in tenda è stata una “fresca parentesi” in cui rivivere i momenti così emozionanti vissuti in attesa di quell’alba altrettanto agognata.
La foschia ci ha traditi, ma non è riuscita a sminuire quanto già vissuto.









Le gole del Todra e del Dades, la Kasbah di Ait Ben Haddou (utilizzata in tanti film tra cui “Il Gladiatore) sono le altre mete, non prive di forti sensazioni che ci riportano a Marrakech .




Marrakech, “città del mito” ha risposto solo parzialmente alle nostre aspettative, nonostante la Medina, i Palazzi, i Musei, il calore della gente indaffarata nella vita quotidiana e nella caotica piazza Djemaa El Fna densa di vita.
E con un gustoso the alla menta che accompagna il Tramonto su una terrazza sulla Piazza si completa nel modo migliore la realizzazione del nostro piccolo sogno.




Bruno e Paolo